Violenza e repressione

Iran, si aggrava il bilancio delle proteste: 508 vittime, tra cui 69 minori

I Pasdaran accusano e poi minacciano i media esteri gestiti dagli esuli iraniani di fomentare le proteste, mentre la diplomazia torna a dibattere sul Jcpoe, il patto 'interrotto' sul nucleare iraniano la cui "finestra non resterà aperta per sempre"

Iran, si aggrava il bilancio delle proteste: 508 vittime, tra cui 69 minori
Ansa
Una donna partecipa alle proteste a sostegno del popolo iraniano in Portogallo

Continua la violenta repressione in Iran da quando è cominciata la protesta per Mahsa Amini: dal 26 settembre al 7 dicembre sono 508 le persone uccise durante i disordini, inclusi 69 bambini. Il numero di persone arrestate è superiore a 18.000.  E' l'ultimo aggiornamento dell'agenzia di stampa iraniana per i diritti umani Hrana. Il report riferisce che finora si sono svolte più di 1.200 manifestazioni di protesta. Una protesta senza precedenti che coinvolge per la prima volta ben 161 città del grande paese del Medioriente.

E non si arresta la conta delle vittime, molte di giovanissima età, che vengono riconosciute anche a distanza di qualche tempo come nel caso di Amin Marafet, un 16enne curdo rimasto ucciso il 30 settembre durante una manifestazione ad Ashineh, città di confine con il Kurdistan iraniano. Un video di lui mentre suona la chitarra ha fatto il giro del web indignando ancora una volta il mondo e la comunità iraniana. La notizia è stata diffusa dalla Bbc in persiano.

Sono i Pasdaran ad aver avuto il mandato dagli ayatollah di reprimere le manifestazioni pacifiche. Le loro mani e quelle delle milizie basij si sporcano di sangue ogni giorno che passa: studenti, lavoratori, uomini e donne che nonostante le minacce del regime si tolgono il velo o protestano nelle strade anche a costo della vita, invocando riforme economiche e sociali strutturali. Le Guardie della rivoluzione non arretrano di un centimetro, se la prendono anche con gli esuli e i media all'estero: "Sappiamo chi siete e vi daremo una dura risposta, uno per uno", ha avvertito il portavoce delle Guardie della rivoluzione, generale Ramezan Sharif, rivolgendosi ai media iraniani dissidenti all'estero, per il loro presunto ruolo nelle proteste in corso in Iran. "Tali media dissidenti, come Bbc persian, Iran international, Voa e Manoto e i social media, che sono elementi dei nemici, hanno cercato di influenzare le menti del popolo iraniano durante le attuali proteste contro il sistema", ha sottolineato Sharif. Gli ayatollah sono convinti che le proteste in corso nel paese siano fomentate da copiose “ingerenze” straniere, soprattutto da parte di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita.

Oggi in una riunione del consiglio supremo il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Mohseni Ajeei ha chiesto "punizioni deterrenti" il prima possibile per i manifestanti arrestati durante le proteste. "I colleghi magistrati dovrebbero agire quanto prima per cercare di punire gli elementi che causano disordini". "Ho ordinato al primo deputato della magistratura e al procuratore generale del paese di seguire quotidianamente il processo di completamento dei casi dei principali indagati per le rivolte", ha aggiunto.

Ieri il ministro degli esteri Antonio Tajani ha ricevuto il nuovo ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri, chiedendo l'immediato stop delle violenze perché “non si uccidono ragazzi e bambini in nome dell'ordine pubblico”, così come "non vengano massacrate donne perché si tolgono il velo, che ragazzi non vengano condannati a morte per aver partecipato a manifestazioni" e "che le bambine non vengano uccise" con "violenza sessuale di massa, è una cosa inaccettabile e indegna", ha detto il ministro.

In Iran è stata "Calpestata la dignità umana e superato ogni limite", ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Conferenza degli ambasciatori italiani nel mondo di qualche giorno fa.

Un bambino partecipa a una manifestazione in sostegno del popolo iraniano in Europa Ansa
Un bambino partecipa a una manifestazione in sostegno del popolo iraniano in Europa

Il patto 'interrotto'

Oltre alla massiccia protesta che minaccia la Repubblica islamica da 106 giorni, l'Iran è al centro del patto 'interrotto' sul nucleare ovvero Piano d'azione globale congiunto (Jcpoa), sul quale gli Stati Uniti non vedono spiragli positivi di ripristino, dopo l'uscita unilaterlae voluta dall'ex presidente Trump nel 2018.

L'avvertimento arriva dal ministro degli Esteri iraniano, Hosein Amirabdolahian secondo cui  la "finestra" dei negoziati su un possibile accordo nucleare non resterà aperta "per sempre".  "La finestra oggi è aperta, ma se le altre parti, soprattutto gli americani, preferiscono non rinunciare all'ipocrisia, e gli occidentali non agiscono realisticamente, non è evidente che quella finestra che è aperta oggi rimarrà aperta domani", ha affermato Amirabdolahian, citato dall'agenzia di stampa Irna, durante un incontro con il Sultano dell'Oman, Haitham bin Tariq, nella capitale Muscat, che segue la visita nel paese del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, lo scorso maggio.

E anche la Russia, storica alleata dell'Iran, per bocca del ministro degli esteri russo Lavrov dice che non vi sarebbero alternative, e che qualsiasi ipotesi su un possibile "Piano B" (invece di ripristinare l'accordo) è irresponsabile e irta di pericoli che potrebbero portare a una escalation di tensione.

"La storia ha dimostrato che il Jcpoa non ha alternative ragionevoli. Consideriamo irresponsabile speculare sul famigerato 'Piano B' e altre opzioni inaccettabili. La transizione verso di esse porta a un'escalation, una corsa agli armamenti, un conflitto aperto con conseguenze irreversibili". Lavrov ha aggiunto che l'Occidente, invece di negoziare al ripristino dell'accordo, sta cercando di fomentare le rivolte all'interno dell'Iran e, nel frattempo, sventola di fronte al mondo la minaccia iraniana. 

Ma da Israele arriva la minacciosa affermazione del nuovo governo israeliano che si prefigge tra i nuovi obiettivi principali di lungo termine la neutralizzazione degli sforzi dell'Iran di dotarsi di un potenziale nucleare e l'estensione degli accordi di Abramo con i paesi arabi per mettere fine al conflitto nella regione, ha affermato il premier Benyamin Netanyahu presentando oggi alla Knesset il suo sesto governo.