"Non ci dimenticate" il grido che arriva dai manifestanti

Iran: l'attivista Narges Mohammadi scrive dal carcere di Evin dove le donne vengono violentate

La paura dei manifestanti che da mesi invadono le strade delle città, occupano le università, scioperano è che il mondo li lasci soli

Iran: l'attivista Narges Mohammadi scrive dal carcere di Evin dove le donne vengono violentate
(GettyImages)
Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani

In questi giorni di feste i giovani iraniani, gli attivisti che vivono in patria e fuori, chiedono al mondo di non dimenticare cosa succede nel loro Paese. La rivolta, nata dalla morte di Mahsa Amini a settembre, non sembra fermarsi di fronte alla brutalità della repressione governativa. Non più solo donne in strada ma anche gli uomini al loro fianco. Per la prima volta, dal 1979, uno sciopero di tre giorni, a novembre, ha bloccato anche i famosi bazar, centri non solo commerciali ma anche concentrazioni del potere conservatore del Paese (da ricordare che proprio i bazari” appoggiarono la rivolta che portò alla cacciata dello Scià 43 anni fa).

La paura degli iraniani che da mesi invadono le strade delle città, occupano le università, scioperano è che il mondo si dimentichi di loro, che la luce accesa su di loro si affievolisca permettendo così al potere in carica di aumentare la violenza della repressione per spezzare questa rivolta. Sentono di essere ad un punto di svolta e chiedono di “non essere lasciati soli”.

Ed è forse anche per questo che Narges Mohammadi, un'importante attivista per i diritti umani in Iran, ha scritto dal carcere per fornire alla BBC dettagli su come le donne detenute nelle recenti proteste antigovernative subiscano abusi sessuali e fisici e ha affermato che tali aggressioni sono diventate più comuni nelle recenti proteste.

L'attivista racconta che alcune delle donne arrestate, durante le manifestazioni, sono state trasferite nella sezione femminile della prigione di Evin. Proprio in questa terribile prigione ha avuto modo di incontrarle e ascoltare dettagli degli abusi subiti: un'attivista è stata legata mani e piedi a un gancio sul tettino del veicolo che l'ha portata in carcere ed è poi stata violentata dagli agenti di sicurezza. Mohammadi, che ha scritto di aver visto cicatrici e lividi sui corpi delle compagne di cella, ha invitato a denunciare quanto sta accadendo anche se questo può portare all'intimidazione delle famiglie delle donne detenute. "Non rivelare questi crimini contribuirebbe al proseguimento dell'applicazione di questi metodi repressivi contro le donne", ha dichiarato l'attivista. "Le violenze contro le donne attiviste, combattenti e manifestanti in Iran dovrebbero essere riportate ampiamente e con forza a livello globale", ha concluso Mohammadi, dicendosi convinta che le "donne coraggiose, resilienti e piene di speranza" dell'Iran vinceranno: "Vittoria significa instaurare la democrazia, la pace e i diritti umani e porre fine alla tirannia".

Mohammadi, vicecapo del Centro per i difensori dei diritti umani dell'avvocato premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, è stata oggetto di diverse condanne dal 2011 ed è attualmente in carcere per "diffusione di propaganda". Quest'anno è entrata nella lista della Bbc delle 100 donne “più ispiranti e influenti” del mondo. Prigionieri politici di spicco in Iran, ma che non sono in isolamento, sono spesso in grado di comunicare con il mondo esterno tramite le loro famiglie o altri attivisti.

La CNN inoltre riferisce che potrebbero essere un centinaio gli iraniani che rischiano in questi giorni la pena capitale, e molti di loro sono giovanissimi o addirittura minorenni e precisa di avere evinto questo numero mettendo a confronto notizie dai media e informazioni diffuse dalle autorità. Tuttavia, molte famiglie non hanno avuto il coraggio di confermare la presenza dei propri cari tra i detenuti a rischio, ma quelli certi sono almeno 43. Tra loro due fratelli di 23 e 24 anni, Farzad e Farhad Tahazade, la cui madre ha diffuso un video per chiedere il loro rilascio, un gesto non privo di rischi per lei stessa. Nel solo tribunale regionale del Khuzestan, a ovest di Isfahan, la CNN ha confermato - in collaborazione con 1500Tasvir- attraverso documenti del tribunale che 23 persone sono state accusate di reati punibili con la morte. Un detenuto, il rapper curdo-iraniano di 27 anni SamanYasin, ha tentato il suicidio in carcere.

A Karaj, vicino a Teheran, CNN e 1500Tasvir hanno confermato che altri cinque iraniani rischiano l'esecuzione. Tra loro c'è il 21enne campione curdo-iraniano di karate Mohammad Mehdi Karami. La famiglia ha lanciato un appello per la sua liberazione, denunciando che è stato anche torturato in prigione.