La repressione nelle carceri

Cosa è successo a Evin, torturati e drogati, la vita dei detenuti in Iran

La testimonianza arrivata a Rainews.it da chi è molto vicino ai detenuti nelle carceri iraniane: in un file audio il racconto del rogo a Evin e dell'uso indiscriminato di droghe pesanti sui detenuti oggetto di torture e a rischio impiccagione

Sono passati appena tre mesi dal rogo della notte del 15 ottobre scorso nella prigione di Evin, la più temuta dell'Iran. Quanto accaduto nel carcere è ancora un mistero anche perché, così come per tutto il resto, nella Repubblica islamica degli ayatollah non sono ammesse indagini indipendenti che possano accertare tutta la verità. Tra quelle sbarre ci sono prigionieri politici, dissidenti e comuni cittadini, per lo più manifestanti dell'ultima protesta antigovernativa che da 4 mesi scuote la Repubblica islamica a guida sciita. Da quell'inferno è riuscita a uscire la blogger italiana Alessia Piperno.

I familiari e gli amici di alcuni detenuti e prigionieri politici, denunciano quanto è successo quella notte e quanto succede ancora ai loro cari nelle carceri iraniane da cui arriva angoscia e disperazione. Sono gli autori di un documento e di un file audio arrivati a Rainews.it da Teheran, tra mille difficoltà nella connessione internet e nei social, soggetti a controllo capillare e a ore di blocchi sistematici da parte delle autorità. In essi è contenuta la voce di chi c'era quella tragica notte in cui, dal reparto numero 7, quello dei detenuti comuni, rimasero uccisi in 50 e non come dicono i rapporti ufficiali, solo in 8. 

Nel documento che ci è arrivato sono descritte anche le condizioni attuali dei detenuti, una quarantina tra manifestanti e prigionieri politici, che dal reparto 8 della prigione - la mattina dopo il rogo - sono stati trasferiti nella prigione di Rajayi-Shahr nella provincia di Karaj, area di violenti scontri tra manifestanti e forze dell'ordine nelle ultime settimane. Qui era rinchiuso anche Mohsen Shekari, il primo manifestante giustiziato l'8 dicembre, era detenuto tra i prigionieri politici del reparto 30, alcuni erano in stretto contatto con lui prima della sua esecuzione. Mentre un altro giovane manifestante Mohammad Brughani, anche lui condannato a morte, è detenuto nel reparto 10. 

“Sebbene i resoconti ufficiali affermino che il rogo del 15 ottobre sia partito da un reparto femminile, causato da ”un gruppo di ribelli nel tentativo deliberato di danneggiare il carcere e ciò che contiene, questo resoconto come altri formulati dalle famiglie dei detenuti, indica che gli eventi del 15 ottobre sono invece l'ennesimo atto criminale e repressivo ordinato dalla Repubblica islamica contro i prigionieri, anche quelli politici".

Nonostante non si conoscano ancora i motivi che hanno portato agli scontri nel reparto 7, "sappiamo che l'atmosfera del carcere è diventata esplosiva da quando sono cominciate le proteste per la morte di Mahsa Amini", avvenuta il 16 settembre scorso nel centro di detenzione di Vozara a Teheran.

Iran, la prigione di Evin a Teheran WikipediaCommons
Iran, la prigione di Evin a Teheran

Il racconto di quella notte a Evin

Quella notte dopo aver sentito chiaramente "rumori di scontri e spari dal reparto 7, quello dei detenuti comuni, dal reparto 8 dove ci sono quelli politici, attraverso una piccola finestra, hanno osservato quello che accadeva nel reparto accanto al loro. Un prigioniero che ha assistito alla scena l'ha descritta così: i prigionieri venivano colpiti dalla guardia carceraria e cadevano a terra davanti ai nostri occhi come foglie.   

I detenuti del reparto 8 sono entrati nel cortile per protestare contro lo spargimento di sangue e hanno iniziato a gridare in difesa dei loro vicini, diventando essi stessi l'obiettivo delle pallottole. Uno dei prigionieri lo studente Yashar Tohidi è stato colpito ad una gamba, mentre un altro Mohammad Khani anche lui studente-dottorando, si è preso una pallottola alla schiena, sono vivi ma hanno bisogno di cure mediche che sistematicamente vengono loro negate.

Il report indica che proiettili veri sono stati sparati attraverso le finestre del reparto, proiettili che colpivano i prigionieri, sotto gli occhi di tutti. Oltre alla sparatoria, le forze speciali hanno iniziato a picchiare i prigionieri che protestavano nel cortile, attaccandoli con manganelli, spranghe e oggetti pesanti. A colpirli c'erano anche i vertici in persona della residenza penitenziaria come il colonnello Mahmoudi, capo del reparto 8 e Karbalaie, un ufficiale di guardia. 

A un certo punto alcuni prigionieri a mani nude, si sono sdraiati a terra in segno di resa. Poi circa 2000 detenuti dei reparti 7 e 8 sono stati portati con la forza in palestra dell'edificio mentre venivano colpiti con proiettili veri e proiettili considerati "non letali" ovvero piccoli pallini di metallo, come quelli che abbiamo visto, attraverso decine e decine di post di denuncia sui social, sui corpi dei manifestanti per le strade iraniane. 

Un manifestante colpito da proiettili "pallet" Guardian
Un manifestante colpito da proiettili "pallet"

I prigionieri venivano colpiti dalla guardia carceraria e cadevano a terra davanti ai nostri occhi come foglie

La testimonianza

Altre immagini orribili sono descritte nel report: i cadaveri delle vittime sono stati lasciati a terra accanto ai prigionieri fino al mattino seguente il rogo,  tra loro c'era Arash Johari, il suo sangue sparso sul pavimento. Quelli rimasti vivi sono stati percossi violentemente anche alla testa e offesi e umiliati alla minima obiezione. Rimasti chiusi per ore nella palestra della prigione senza aria e senz'acqua né l'uso di servizi igienici con il puzzo di urina tutt'intorno. 

Dopo alcune ore, circa 40 prigionieri politici del reparto 8 tra cui ci sono il giornalista e attivista Amir Abbas Azarmvand, l'operaio Arash Johari, gli studenti attivisti Yashar Daroshafa e Abolfazl Nejadfathollah, sono stati trasferiti alla prigione di Rajayi-Shahr, nella provincia di Karaj a ovest di Teheran, mentre altri sono stati trasferiti nella prigione di Tehran-Bozorg.

La situazione resta estremamente preoccupante per loro e per altri cinque Yashar Tohidi, Maysam Golshani, Mohammad Khani e Seyed Javad Seyedi che ora potrebbero affrontare nuove accuse in relazione agli incidenti nella prigione di Evin. Si teme che siano a rischio condanna a morte anche a causa delle proteste in corso in Iran, accusati di “calunnia e distruzione intenzionale di oggetti mobili o non portatili appartenenti ad altri, minaccia di morte e diffusione di falsità". E c'è apprensione per la sorte di Loghman Aminpour, Maysam Dehbanzadeh, Majid Roshannejad, Reza Salmanzadeh padre di una vittima delle proteste del 2019: i quattro sono finiti in isolamento, e non è mai una cosa buona.

I prigionieri politici trasferiti nella prigione di Rajayi-Shahr sono attualmente detenuti nel reparto 10, sala 30, considerato il braccio della morte della prigione. Chi fa loro visita riferisce che ai detenuti è continuamente negato cibo sufficiente o che devono comprarselo per sfamarsi, negata l'igiene di base e di essere in celle sovraffollate. Secondo ong dei diritti umani, sono oltre 19000 i manifestanti arrestati in questi ultimi mesi. E cosa ancora più preoccupante, i prigionieri sono convinti che nel poco cibo che gli viene dato ci sia della canfora, una sostanza naturale molto usata nei paesi arabi per il suo aroma, ma che è anche un forte dilatatore dei vasi sanguigni che può portare al collasso.  

Droghe Captagon Burak Milli/Anadolu Agency via Getty Images
Droghe Captagon

La droga proibita in Iran, usata nelle carceri

Non è certo un mistero che nelle prigioni così come in guerra circoli droga. La nostra fonte ci racconta che, nonostante l'uso e il possesso di droga in Iran siano considerati reati che si pagano con la pena di morte, nelle prigioni iraniane circola molta droga. Ecco che “eroina, metanfetamine” e perfino il famigerato Captagon uno stimolante a base di anfetamine, considerato altamente nocivo per la salute e dunque vietato, “sono usate sui detenuti e addirittura vendute dalle guardie iraniane”.

In particolare il Captagon definita "La droga della Jihad", contenente sostanze psicotrope che aiutano negli stati depressivi o di iperattività. Tutte queste sostanze stupefacenti servono a combattere la paura, lo stress e la fatica fisica e mentale. Ma soprattutto tolgono la capacità di giudizio. Droghe come queste sono vendute dalle guardie ai detenuti per estorcere confessioni o come anestetcio sui dolori dopo le torture. E una volta fuori se non hai la forza di reagire, puoi anche avere istinti suicidi come il caso del giornalista iraniano Mohsen Jafarirad, 36 anni, reporter, critico cinematografico e documentarista trovato morto dopo essere stato rilasciato. Ma non è il primo e non sarà l'ultimo.

Il Captagon fu al centro di un’ inchiesta del NYT del 2021 che denunciava l’uso e lo spaccio indiscriminato in tutta l’area del Medioriente durante la guerra in Siria. In quell’inchiesta fu per altro menzionato anche il ritrovamento avvenuto in Italia di 84 milioni di pillole “nascoste in enormi rotoli di carta e ingranaggi di metallo” a Salerno nel 2020. 

Eroina, metanfetamine e perfino il famigerato Captagon uno stimolante a base di anfetamine, considerato altamente nocivo per la salute e dunque vietato, sono usate sui detenuti e addirittura vendute dalle guardie iraniane, sostanze stupefacenti che servono a combattere la paura, lo stress e la fatica fisica e mentale, ma soprattutto tolgono la capacità di giudizio 

La prigione di Rajayi Shahr a ovest di Teheran rainews.it
La prigione di Rajayi Shahr a ovest di Teheran

Chi è Amir Abbas Azaram Vand, il giornalista detenuto

Amir Abbas Azaram Vand, è un giornalista e attivista, scrive per Samt. Arrestato il 16 agosto scorso per "propaganda contro il regime islamico" e condotto subito a Evin dove dal reparto 8 è stato testimone del rogo del 15 ottobre scorso. Quel giorno fu prelevato dalla sua abitazione senza mandato d'arresto è stato arrestato davanti a suo padre che si è ribellato pubblicamente contro la decisione della magistratura.

Da sempre Abbas si occupa di diritti dei lavoratori e delle donne. Come molti giornalisti prima di lui conosce già le prigioni iraniane, arrestato più di un anno fa a Teheran, dopo aver pubblicato alcune analisi sui lavoratori e i loro diritti sindacali. Lì ha trascorso più di 3 settimane in isolamento, vittima di tortura psicologica. Il 33enne è considerato uno scomodo attivista antigovernativo. 

Il giornalista nel carcere, secondo il report, è riuscito a parlare con Moshen Shekari una settimana prima che il giovane fosse impiccato per moharebeh cioè l'accusa di fare guerra contro Dio. "Non pensava di essere impiccato davvero, si diceva colpevole solo di aver ferito la guardia con un coltello e non di averla uccisa", ha detto Amir Abbas.

Nel gennaio 2021 era stato condannato a 4 anni di carcere dopo un processo lampo a porte chiuse durato 15 minuti a cui erano presenti solo lui, i pubblici ministeri e il giudice Iman Afshari, uno dei più autorevoli del regime. Il report denuncia che gli è stato negato un processo equo ovvero senza la tutela del suo legale e di prove delle accuse mosse contro di lui.  Rilasciato su cauzione nel giugno 2021, Amir Abbas si è sposato, ma in seguito è stato nuovamente arrestato per aver partecipato e scritto sui diritti delle donne nella Giornata internazionale della donna l'8 marzo 2022, ottenendo la conferma della precedente condanna a più di 4 anni di reclusione. 

Attualmente è detenuto a Rajayi Shahr, trasferito anche lui la mattina seguente al rogo di Evin. Durante quegli scontri è stato colpito da proiettili veri e picchiato duramente durante gli scontri tra i detenuti e le forze di polizia, durante quegli scontri ha riportato gravi ferite a causa delle percosse ricevute dai funzionari dell'IR in diverse occasioni sia prima che dopo la sua condanna. Ha costole rotte, un infortunio invalidante alla schiena, lacerazioni al corpo e alla testa, e necessita di un urgente intervento chirurgico alla spalla. Al momento gli sono negate cure mediche di base.

Amir Abbas Azaram Vand rainews.it
Amir Abbas Azaram Vand